Ha convinto il “Robinù” di Michele Santoro

28350-Robin___1Applausi e consensi per “Robinù”, il film diretto da Michele Santoro presentato nella sezione Cinema in Giardino del Festival di Venezia. A  Napoli,  negli ultimi due anni, bande di  adolescenti  si  combattono,  a  colpi  di   kalashnikov,  in  una  guerra dimenticata che  è  arrivata  a  contare  oltre  60  morti.  La  chiamano  “paranza  dei  bambini”: giovani  ribelli  che  sono  riusciti  a  imporre una   nuova  legge  di  camorra  per  il  controllo  del mercato  della  droga.  Una  paranza  che   da  Forcella  si  insinua  nei Decumani,  e  scende  giù  fino  ai  Tribunali  e  a  Porta   Capuana:  il ventre  molle  di  Napoli, la  periferia  nel  centro,  tra  turisti  che di  giorno   riempiono  le  strade  e gente  che  di  notte  si  rintana  nei  bassi  trasformati in  nuove   piazze  di  spaccio,  il  vero  carburante  capace  di  far girare a  mille  il  motore  della   mattanza. I due protagonisti sono Mariano e Michele che interpretano se stessi e ci accompagnano nella storia mostrando una Napoli reale e cruda, un intero  giovane  popolo ridotto  a  carne  da  macello.  Sotto  gli  occhi   indifferenti  delle  istituzioni,  hanno  evaso  qualunque  obbligo  scolastico,  non   parlano  italiano,  hanno  i  denti già devastati  dalla  droga,  ma  esprimono   chiaramente  sentimenti  e  passioni  di  una  forza  sconosciuta  a  quella  parte  di Paese   definita  “normale”. “Siamo partiti da questa grande storia dimenticata – ha spiegato Santoro – studiandola con curiosità e attenzione ci siamo ritrovati in una lezione pasoliana. Una realtà in cui tra quartiere e carcere c’è quasi una continuità urbanistica. Abbiamo seguito le famiglie, gli amici, i parenti di quattro baby boss e ci siamo resi conto che oltre ad un grande cinismo c’è in loro anche una grande umanità. Una specie di welfare criminale, che si regge sul pil prodotto dalla grande  e potente fabbrica della droga. Ed è questo pil che ci permette di non occuparci di loro e di fare finta che non esistano. Ci siamo ritrovati ad avere a che fare con giovani che a 15-16 anni avevano avuto già figli e a 35 anni erano già diventati nonni. Questa realtà ci ha stupiti perchè nonostante tutto sono pieni di amore per la vita. Il carcere tuttavia non è un luogo di recupero bensì parte della carriera di un aspirante baby boss.”

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28340-Robin___3Un mese e mezzo di riprese e la difficoltà di entrare nelle case dei personaggi descritti. Santoro ha spiegato il difficile lavoro che ha dovuto intraprendere per raggiungere l’obiettivo: “Abbiamo dovuto conquistare la loro fiducia e non è stato assolutamente facile, così come non è stato facile girare nei loro quartieri. Abbiamo girato sia a Poggioreale, dove siamo stati nel braccio dei più giovani, sia nel carcere minorile di Airola, proprio quello dove pochi giorni fa c’è stata una rivolta. In realtà li dentro si ricrea la struttura criminale di fuori, con la guerra tra bande per l’affermazione. Il problema principale è che questi giovani  non hanno la possibilità di crearsi una vita diversa. Chi tenta di cambiare vita, per esempio fa il pizzaiolo (com’è successo al fratello di uno dei baby boss più ammirati di questa generazione), viene addirittura rinnegato dalla famiglia e costretto ad andare a Parigi. Ma questa è ad esempio un’eccezione. La normalità, invece, sono invece le mamme che preparano i bambini per farli andare scuola ed hanno già pronte le dosi di cocaina da spacciare per il clan per 30 euro al giorno.”

Un racconto quello di Santoro che dovrebbe essere raccontato più spesso e non buttato nel dimenticatoio: “Dovrebbe avere più spazio in tv, soprattutto in Rai. L’attuale gruppo dirigente della Rai ha tutti gli strumenti necessari per tornare ad essere presente su questo fronte in maniera forte.” E restando in tema Rai, Santoro ha confessato di tornare in televisione: “Il 5 ottobre andrà in onda la prima di 6 prime serate che realizzeremo su Rai2: saranno ambientate ognuna in una città diversa. La prima sarà proprio da Napoli. Un racconto in diretta ma al centro ci sarà un reportage. Il titolo, però ancora non posso dirlo. Le ultime due serate saranno collegate, in un formato sperimentale che si intitola ‘M’, una citazione di Fritz Lang, che richiama la M di Mostro ma anche quella di Michele e che proporrà un linguaggio  tra talk, reportage, docufiction”.

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